Intervista ad Olga Anania, presidente del C.S.C.M.

intervista a Olga Anania, presidente del CSCM ODV

Nella foto, a sinistra Olga Anania ( presidentessa del Centro Solidarietà Catanzaro Marina) insieme ad Antonella Maruca (ideatrice de La Solidarietà Attiva)

Per avere uno sguardo d’insieme sul nostro progetto “La solidarietà attiva”, finanziato dalla Regione Calabria,  abbiamo deciso di inaugurare un ciclo di interviste al fine di raccontare, attraverso lo sguardo delle figure che fattivamente operano nella nostra realtà associativa, tutto ciò  che a partire dal suo avvio ci ha visto coinvolti ed impegnati fino ad ora che abbiamo superato il traguardo dei dodici mesi di attività

Non potevamo che iniziare  con colei che regge il timone del Centro Solidarietà Catanzaro Marina: la nostra presidente Olga Anania.

Presidentessa Anania, abbiamo tagliato il traguardo dei 12 mesi del progetto e certamente in fase di progettazione non era neppure lontanamente immaginabile l’avvento di una pandemia. Come ha impattato tutto questo sullo svolgimento delle attività progettuali?

«Ci siamo trovati di fronte ad una situazione inedita a tratti spiazzante, ma dopo una fase di disorientamento iniziale abbiamo cercato di raccogliere tutte le forze e le energie per calare il progetto nella nuova realtà. Il primo ostacolo da superare è stato certamente il reperimento dei dispositivi di protezione senza i quali non era possibile operare.

La questione della sicurezza dei nostri volontari e dei nostri assistiti è stato il primo obiettivo da perseguire e, diciamola tutta, è stato anche un costo che non avevamo certamente calcolato. in un momento in cui reperire mascherine e igienizzanti  non era solo una spesa onerosa, ma si aggiungeva anche il problema della difficile reperibilità.

Superato lo scoglio iniziale il nostro team si è messo subito a lavoro e la cosa che è balzata subito agli occhi è stata la progressiva crescita del numero di richieste d’aiuto; sapevamo certamente, dalle analisi che avevamo fatto, che sarebbe emersa una quota di povertà  che sfugge al controllo dei canali istituzionali, ma certamente non avevamo fatto i conti con le nuove povertà generate dalla pandemia. Se non avessimo avuto il support del Banco Alimentare  e l’aiuto dei nostri amici donatori molte delle richieste sarebbero rimaste inevase».

La necessità di rispettare rigidi protocolli di sicurezza ha certamente cambiato il modus operandi dei volontari in servizio. Come si sono preparati a tutto questo?

«Come dicevo già prima un evento pandemico  stravolge le vite di tutti e lascerà segni indelebili nelle anche nella storia del volontariato. Noi fin da subito abbiamo fatto la scelta di avvalerci di quei volontari che lavorano da tanto con noi e hanno maturato una grande esperienza sul campo.

Certo è che, anche per loro, abbiamo cercato di fare una costante attività di aggiornamento man mano che le disposizioni dei vari Dpcm si susseguivano, ma la loro esperienza ha fatto certamente la differenza, sapevano bene  che la tutela della propria salute era strettamente legata a quella di ogni persona con cui si rapportavano».

Chi opera nel volontariato sa! bene che in questo ambiente si stringono legami, esiste un uso del linguaggio del corpo, gesti come strette di mano e pacche sulle spalle sono strumenti comunicativi non trascurabili. Come è cambiata la relazione d’aiuto e il rapporto con gli assistiti?

«Grazie per questa domanda, qui cogli un punto centrale di quello che la trasformazione in atto ha comportato; sono cambiate le relazioni umane in generale, tutti noi abbiamo dovuto rivedere e sacrificare molti dei nostri atteggiamenti e comportamenti.

Certamente questo sacrificio è stato ancora più faticoso da sostenere in un ambiente, quello del volontariato, dove l’assistenza non è certamente solo quella materiale; la distribuzione di alimenti, vestiario ecc costituisce la parte più semplice dell’intervento sociale. La cura e l’assistenza alla persona implica invece un supporto e un coinvolgimento del volontario che è allo stesso tempo fisico ed emotivo.

Se pensiamo ad attività come l’assistenza domiciliare o l’accompagnamento per il disbrigo di pratiche o a visite mediche, capiamo bene quanto il contatto tra volontario e assistito sia stretto.

Ecco tutto questo si è dovuto necessariamente ridimensionare per tutelare la salute di tutti. In parte siamo riusciti a colmare il senso di paura e di smarrimento con l’assistenza psicologia per via telefonica o dove era possibile anche con altri mezzi tecnologici.  Ma , sembra quasi superfluo dirlo, nessun mezzo tecnologico potrà mai sostituire l’incontro di persone che si guardano, si scrutano e stabiliscono relazioni empatiche».

In questi mesi di distanziamento fisico è stato necessario garantire la continuità progettuale e laddove si è potuto sono stati impiegati gli strumenti digitali. Come è cambiato l’utilizzo di questi strumenti da parte del Cscm?

«Come associazione sono ormai anni che crediamo nell’utilizzo degli strumenti digitali  e i nostri canili social ci consentono di arrivare a più persone. A differenza di prima, in questo caso, abbiamo dovuto necessariamente implementare il ricorso alla videoconferenza per consentire al team di progetto di lavorare con maggiore agilità. Anche in questo qualcosa si è perso in termini di relazione umana, ma dalla nostra avevamo un gruppo già rodato che lavora con noi da anni e credo questo sia stato il nostro punto di forza».

Quando il progetto si concluderà nel 2021 il virus sarà ancora verosimilmente tra di noi. In base all’esperienza accumulata cosa pensi che dovrà tenere conto  la progettazione del futuro?

«Mi piace pensare che le difficoltà di questi mesi nel volontariato, ma più in generale in ogni settore della vita sociale, non siano passate invano e che non abbiano lasciato traccia  in chi organizza i programmi di finanziamento. Noi abbiamo avuto la fortuna di avere un progetto in corso e di poter attingere quindi a delle risorse, ma badiamo bene un contesto di emergenza come è quello pandemico non può essere gestito come se fossimo in un periodo ordinario.

Io credo che si possa e si dovrebbe fare di più, altrimenti si continua ipocritamente ad elogiare il terzo settore scaricando molte delle competenze delle amministrazioni locali, ma senza fornirgli mezzi e strumenti per operare.

Una via praticabile potrebbe essere quella di pensare ad un fondo di garanzia previsto dai progetti ed eventualmente da utilizzare in situazioni di particolare criticità. Qualcosa si dovrà pensare, l’emergere di nuove povertà è un dato che è sotto gli occhi di tutti».